martedì 26 febbraio 2008

L'importanza di fallire

Sembra incredibile, ma il fallimento svolge un ruolo molto importante nelle dinamiche evolutive e sociali.

Solo che la nostra società è impostata per condannare i falliti e osannare i vincenti, quindi è logico che nessuno abbia poi tanta voglia di fallire. E più si spinge sul pedale dell’individualismo e dell’importanza del singolo, più il fallimento diventa grave e devastante. Questo stato di cose però ci impedisce di cogliere molte opportunità, se riuscissimo a pensare in modo più “sociale” ci sarebbero vantaggi per tutti.

Voi forse pensate stia facendo ragionamenti da veterocomunista incallito, mentre alle stesse conclusioni sono arrivati i paladini del capitalismo d’attacco e i signori delle dinamiche di mercato. Le società che si occupano di “venture capital” basano la propria attività proprio sul principio della necessità dei fallimenti per sondare le opportunità.

Faccio un passo indietro per spiegarmi meglio.

Quando una colonia di api si insedia in un nuovo alveare ha l’assillante problema di capire dove si trovano le risorse di cibo. Per ottenere un risultato efficace in un tempo molto breve utilizza un metodo estremamente efficiente. Le api cercatrici vengono inviate a cercare cibo, tutte contemporaneamente e in tutte le direzioni.

Al ritorno, ogni cercatrice esegue una danza del cibo indicando la direzione e la quantità di risorse che ha trovato. Certamente molte avranno fallito la ricerca, altre avranno trovato “pascoli” poco  produttivi, ma alcune avranno individuato riserve sicure e abbondanti.

Questo risultato così rapido e consistente si può ottenere soltanto contemplando un alto numero di fallimenti. Nonostante questo non ci sono necessariamente dei perdenti, la comunità ha vinto nel suo insieme. Io immagino il capo delle api cercatrici che da pacche sulle spalle a tutte dicendo “Grande lavoro di squadra ragazze, ben fatto, tutte alle docce ora, l’alveare è fiero di voi”.

Le società di venture capital agiscono in un modo simile. Finanziano un certo numero di progetti innovativi e interessanti che hanno buone speranze di successo, sapendo però che molti falliranno alla prova dei fatti e che i soldi investiti saranno persi. Tra 100 progetti finanziati ce ne saranno però 5 o 6 (magari di più) che risulteranno produttivi generando un guadagno ben superiore a tutti i costi sostenuti.

Se allarghiamo il concetto a tanti altri campi dell’agire umano, ci accorgiamo che la sperimentazione è un vantaggio collettivo previsto dall’evoluzione. Se non sperimentiamo non evolviamo e non progrediamo. Ma la sperimentazione deve contemplare il fallimento, prevedere meccanismi che incentivino la riuscita, ma che non puniscano i fiaschi troppo duramente.

In Italia questo non si fa. Tutti hanno una dannata paura di sbagliare e quindi stanno a miglia di distanza da tutto ciò che è nuovo (e quindi rischioso). Non a caso in Italia il venture capital non esiste. In Italia le banche prestano soldi solo a chi li ha già. In Italia gli imprenditori non “fanno impresa”, comprano un pezzo di autostrada e diventano monopolisti. Nessuno fa ricerca, né pura né applicata, perché la ricerca deve contemplare il rischio e nessuno vuole correre rischi. Il risultato: un pantano di stagnazione economica e spirituale.

È tempo di ridare valore al fallimento e a chi fallisce sperimentando con onestà. E non pensate solo ai massimi sistemi, la stessa cosa vale nei piccoli ambienti, fra amici, nelle famiglie, nei piccoli circoli di partito. Dobbiamo ritarare lo strumento con cui misuriamo successi e insuccessi.

Si può fare (hups, non volevo), la politica può guidare il processo cominciando a comportarsi come le società di venture capital (ad esempio). Ne nascerebbe un meraviglioso circuito virtuoso (tanto per cambiare).

Se poi vi state chiedendo cosa penso del fatto che i politici italiani non rispondono mai dei lori fallimenti non vi preoccupate, un giorno ve lo spiego.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Già, per troppo tempo abbiamo freinteso la cultura del vincente di stampo americano: per loro il "loser" non è chi fallisce, ma chi neanche ci prova, perchè non ha le palle o ambizioni o spirito di iniziativa.
Tieni anche presente che la nostra cultura latino-cattolica favorisce l'immobilismo (migliorarsi è peccato, tanto poi ci sarà il regno dei cieli) e anzi, il fallimento stesso è un peccato (tutto è dono di Dio, se vogliamo qualcosa senza di lui pecchiamo di arroganza o superbia, il fallimento è il giusto castigo), quindi qualcosa di cui vergognarsi.
Dobbiamo farne ancora tanta di strada...

ps: sono fnito qui saltando di blogroll in blogroll, complimenti

sembraincredibile ha detto...

Grazie dei complimenti lollodj, che dire, le tue sono... parole sante.