venerdì 29 febbraio 2008

Il coraggio di essere buoni

Sembra incredibile, ma ci vuole un gran coraggio a essere buoni. C’è gente che vorrebbe comportarsi onestamente, ma si vergogna o non trova la forza.

Navigare sempre nel torbido è faticoso e, come ho già avuto modo di dire, nel nostro Paese non è nemmeno più così conveniente.

Secondo me un sacco di gente discutibile non ne può più di essere discutibile, aspetta solo una buona occasione per tornare onesta.

Se vi capita, dategliela.

giovedì 28 febbraio 2008

La (de)crescita felice

Sembra incredibile, ma il Movimento della Decrescita Felice (MDF) sta danneggiando la causa della sostenibilità.

Intendiamoci, io adoro Maurizio Pallante (principale ideologo in Italia del movimento) e moltissime delle ragioni alla base del Movimento le condivido in pieno. Ne sono stato un seguace per un periodo abbastanza lungo. Poi, un giorno, ho cominciato a capire qualcosa non era come avrebbe dovuto e alla fine ho focalizzato cosa.

È un problema di mercato (tanto per cambiare).

Il mercato ve lo potete immaginare come un enorme TIR stracarico che procede sull’autostrata. Provate a fermarlo. Mettetevici davanti a braccia tese e provate. Ecco questo è il problema della decrescita felice: se ti metti davanti al TIR questo ti schiaccia senza quasi accorgersi che esisti.

Non è che le istanze della decrescita non siano valide, non è che le ragioni per fermare il TIR non siano buone. È che per fermare una massa in movimento di quel tipo ci vogliono forze di cui un movimento del genere non dispone.

Io propongo un cambio di strategia. Non si può fermare un TIR a mani nude, ma bastano due dita sul volante per fargli cambiare direzione: mettiamo le dita sul volante.

Prima di tutto risolviamo un fondamentale problema di percezione e togliamo di mezzo il termine DECRESCITA che è terribilmente punitivo (lo so che è il principio ispiratore del movimento stesso, ma non vende).

Abbiamo già visto che le persone sono disponibili al cambiamento se riusciamo a convincerle che questo non comporta rischi, ma solo benefici. La nostra società è tutta imperniata sui concetto di crescita, ce lo inculcano in testa appena nasciamo, promettere DECRESCITA significa giocarsi subito una fetta consistentissima di popolazione.

Ho un amico che vive felice senza frigorifero, senza televisione, praticamente non usa più l’automobile, fa lo yogurt, il pane e mille atre cose a casa, con le sue mani. Bene. Realisticamente, quanti pensiamo che possano sposare oggi questo modello? Che speranza reale ha di coinvolgere un numero tale di persone da cominciare a influenzare il mercato. In quanto tempo?

È durissima, credetemi. Così le due dita sul volante non ce le mettiamo.
Fatta l’analisi del problema l’ufficio marketing della rivoluzione dolce propone un piano alternativo.

La CRESCITA FELICE.

E suona già tutto diverso.
Perdonatemi, ma in questa società la forma è il messaggio.

Come cambia la tua vita nel modello proposto dalla Crescita Felice? Sempre in meglio. Guidi un’automobile confortevole e super tecnologica che fa 2000 km con un pieno di idrogeno prodotto da un attento mix di sorgenti di energia rinnovabile e pulita: eolica, fotovoltaica, solare, biomasse, idroelettrica, geotermica.

La tua casa e la tua vita hanno un’impronta ambientale minima e si armonizzano con la natura. Guardi il tuo splendido televisore ultraflat da 105 pollici e puoi tenere la luce accesa anche tutta la notte, tanto è prodotta in modo totalmente ecologico e le tue lampade ai led organici sono quanto di più efficiente si possa concepire in fatto di produzione luminosa.

Consumi ortaggi a basso impatto ambientale prodotti in una rete olonica di aziende agricole disposte strategicamente in modo da abbattere costo e impatto dei trasporti delle derrate. D’altra parte anche i trasporti sono a bassissimo impatto ambientale, quindi ti puoi concedere il piacere di mangiare una banana o un ananas senza il minimo senso di colpa.

Tutto il packaging è minimalista e riciclabile, tanto che la raccolta dei rifiuti è differenziata al 98% e il tuo processore di materiali domestico riutilizza quasi tutto in loco (quindi i rifiuti non c’è nemmeno bisogno di trasportari e stoccarli).

Andrei avanti ore, ma mi fermo.
Capite che è tutta un’altra cosa?

E se poi voglio farmi il pane in casa (cosa che io adoro fare) è perché è un piacere per me e per la mia famiglia, non perché sta finendo il petrolio e la CO2 in atmosfera è in crescita.

È una questione di visione. I risultati sono gli stessi, gli obiettivi sono simili, ma le persone disposte a immaginarsi in questo scenario sono infinitamente di più e saranno più disponibili a fare cambiamenti per ottenere questo futuro. Facciamolo diventare di moda, facciamolo diventare cool, facciamo capire alle aziende (quelle che non l’hanno già capito da sole) che vogliamo vivere così, giochiamo la partita con le loro regole e avremo le mani sul volante del TIR.

Sogni? È già stato fatto.

Lo ha fatto un altro movimento, anche piuttosto disorganizzato.
Quello che ha creato il mercato del cibo biologico.

Nessuno voleva il biologico, ve lo assicuro. Nessuno.
E oggi (anche a sproposito a volte) ce lo ritroviamo ovunque.
Lo hanno fatto senza troppa consapevolezza, con un ditino debole e minuscolo sul volante che ha prodotto una deviazione lenta, inesorabile, inarrestabile.

Alla fine volevo solo dire che non ho voglia di farmi schiacciare dal TIR, sto cercando di salire e arrivare al volante.

martedì 26 febbraio 2008

L'importanza di fallire

Sembra incredibile, ma il fallimento svolge un ruolo molto importante nelle dinamiche evolutive e sociali.

Solo che la nostra società è impostata per condannare i falliti e osannare i vincenti, quindi è logico che nessuno abbia poi tanta voglia di fallire. E più si spinge sul pedale dell’individualismo e dell’importanza del singolo, più il fallimento diventa grave e devastante. Questo stato di cose però ci impedisce di cogliere molte opportunità, se riuscissimo a pensare in modo più “sociale” ci sarebbero vantaggi per tutti.

Voi forse pensate stia facendo ragionamenti da veterocomunista incallito, mentre alle stesse conclusioni sono arrivati i paladini del capitalismo d’attacco e i signori delle dinamiche di mercato. Le società che si occupano di “venture capital” basano la propria attività proprio sul principio della necessità dei fallimenti per sondare le opportunità.

Faccio un passo indietro per spiegarmi meglio.

Quando una colonia di api si insedia in un nuovo alveare ha l’assillante problema di capire dove si trovano le risorse di cibo. Per ottenere un risultato efficace in un tempo molto breve utilizza un metodo estremamente efficiente. Le api cercatrici vengono inviate a cercare cibo, tutte contemporaneamente e in tutte le direzioni.

Al ritorno, ogni cercatrice esegue una danza del cibo indicando la direzione e la quantità di risorse che ha trovato. Certamente molte avranno fallito la ricerca, altre avranno trovato “pascoli” poco  produttivi, ma alcune avranno individuato riserve sicure e abbondanti.

Questo risultato così rapido e consistente si può ottenere soltanto contemplando un alto numero di fallimenti. Nonostante questo non ci sono necessariamente dei perdenti, la comunità ha vinto nel suo insieme. Io immagino il capo delle api cercatrici che da pacche sulle spalle a tutte dicendo “Grande lavoro di squadra ragazze, ben fatto, tutte alle docce ora, l’alveare è fiero di voi”.

Le società di venture capital agiscono in un modo simile. Finanziano un certo numero di progetti innovativi e interessanti che hanno buone speranze di successo, sapendo però che molti falliranno alla prova dei fatti e che i soldi investiti saranno persi. Tra 100 progetti finanziati ce ne saranno però 5 o 6 (magari di più) che risulteranno produttivi generando un guadagno ben superiore a tutti i costi sostenuti.

Se allarghiamo il concetto a tanti altri campi dell’agire umano, ci accorgiamo che la sperimentazione è un vantaggio collettivo previsto dall’evoluzione. Se non sperimentiamo non evolviamo e non progrediamo. Ma la sperimentazione deve contemplare il fallimento, prevedere meccanismi che incentivino la riuscita, ma che non puniscano i fiaschi troppo duramente.

In Italia questo non si fa. Tutti hanno una dannata paura di sbagliare e quindi stanno a miglia di distanza da tutto ciò che è nuovo (e quindi rischioso). Non a caso in Italia il venture capital non esiste. In Italia le banche prestano soldi solo a chi li ha già. In Italia gli imprenditori non “fanno impresa”, comprano un pezzo di autostrada e diventano monopolisti. Nessuno fa ricerca, né pura né applicata, perché la ricerca deve contemplare il rischio e nessuno vuole correre rischi. Il risultato: un pantano di stagnazione economica e spirituale.

È tempo di ridare valore al fallimento e a chi fallisce sperimentando con onestà. E non pensate solo ai massimi sistemi, la stessa cosa vale nei piccoli ambienti, fra amici, nelle famiglie, nei piccoli circoli di partito. Dobbiamo ritarare lo strumento con cui misuriamo successi e insuccessi.

Si può fare (hups, non volevo), la politica può guidare il processo cominciando a comportarsi come le società di venture capital (ad esempio). Ne nascerebbe un meraviglioso circuito virtuoso (tanto per cambiare).

Se poi vi state chiedendo cosa penso del fatto che i politici italiani non rispondono mai dei lori fallimenti non vi preoccupate, un giorno ve lo spiego.

lunedì 25 febbraio 2008

La variabile "amore"

Sembra in credibile, ma ci sono persone validissime capaci di legarsi le mani da sole.

Una volta stavo lavorando con un personaggio di fama mondiale, una donna, una di quelle che nel proprio settore sono punti di riferimento per tutti gli altri. Se il settore fosse stata la lirica lei avrebbe potuto essere Pavarotti, tanto per capirci. Per comodità di racconto la chiamerò Ada.

Ada era affiancata da un’assistente di tutt’altro livello, molto più giovane e inesperta (diciamo un incapace) alla quale però venivano delegate decisioni vitali per la riuscita del progetto. La chiameremo Cristina è va notato che era sposata con il figlio di Ada.

Le decisioni sciocche di Cristina minavano gravemente tutto quello che si stavamo facendo. Quindi da un lato c’era Ada, persona dal talento straordinario e universalmente riconosciuto, dotata di un’intelligenza sofisticata e una sensibilità non comune. Un potenziale pazzesco ridotto a brandelli da Cristina, la scema di turno, capace di trasformare ogni magia in poltiglia.

Abbiamo passato un paio di mesi a chiederci il perché di tutto questo. Perché un genio si affida a uno sciocco e si fa massacrare in questo modo, rischia una reputazione costruita in una vita dando fiducia a un simile personaggio.

Vi sembra sufficiente il fatto che Cristina fosse la moglie del figlio? Voglio dire, a tutto c’è un limite, anche al nepotismo quando questo si trasforma in una trappola mortale.

Abbiamo ipotizzato le ragioni più varie senza trovare in realtà spiegazioni plausibili. Alla fine ci siamo rassegnati, abbiamo smesso di lottare per difendere la qualità del progetto e ci siamo limitati a ridurre i danni il più possibile.

Questa cosa però ha continuato a ronzarmi per la testa, le persone a volte fanno cose davvero stupide, dannose per sé e per gli altri, al limite del masochismo puro. Questo fa male al mondo, non solo a loro.

Un giorno ero in viaggio con un amico psicologo e gli ho raccontato tutta la storia e lui sorridendo ha detto: “tu non immagini di cosa è capace un essere umano per un po’ di amore”.

Allora ho capito che era proprio così. Ada aveva un bisogno disperato dell’amore di quel figlio, cercava di ottenerlo in qualsiasi modo anche a costo di mettere a repentaglio denaro, fama, reputazione, una vita di lavoro durissimo. Tutto qui, semplicissimo, umanissimo.

Da quel momento ho cominciato a considerare la variabile “amore” come elemento imprescindibile di ogni attività professionale e più in generale di ogni azione umana.

Tutti sappiamo che si può fare carriera o corrompere con il sesso, tutti sappiamo che per amore si fanno follie, ma a volte sottovalutiamo il ruolo delle altre forme dell’amore nelle vicende che dall’amore sembrano lontane.

L’amore ha molto a che fare con la difficoltà a cambiare perché le sue dinamiche influenzano profondamente ogni decisione umana.

Quando cercate di cambiare le cose e trovate blocchi particolarmente duri da rimuovere pensate alla corruzione, pensate ai “piccoli poteri” e pensate anche al potere dell’amore e alle sue innumerevoli manifestazioni.

Domani vi parlerò di quanto sia importante fallire.

Il commento di Matteo

Rilancio il commento di Matteo a questo post che potreste non aver letto e invece è un segnale importate:

Se si permette alla gente di partecipare, se le si fa capire che quello che dice o fa viene ascoltato, allora la gente partecipa con entusiasmo.
Le persone vogliono la possibilità di fare qualcosa, se non le interpelli e poi chiedi loro il voto, si comprende il loro menefreghismo.
La penso esattamente come molti di voi: se non proviamo poi non ci possiamo nemmeno lamentare.
Per questo io ho provato: sono nuovo di politica, ma sono stato eletto segretario di circolo del PD del mio piccolissimo comune e di quello vicino; anche i componenti del direttivo sono tutti nuovi.
Dobbiamo cogliere al volo queste opportunità di cambiamento, perchè non si presentano tutti i giorni!
Dobbiamo mettere in campo le nostre idee per gli altri che lavorano come noi e non pensare di averne il copyright! Ma penso che ciò sia già il motivo trainante di questo blog.
Se nelle alte sfere hanno voluto che questo accadesse, forse hanno capito che il sistema doveva essere aggiornato perchè c'erano troppi bugs...
Penso sia impossibile (o almeno alquanto difficile e dispendioso) cambiare il sistema, ma aggiornarlo e renderlo al passo con la modernità e con la società è molto più attuabile e, penso, potrà dare risultati migliori.
un saluto a tutti
Matteo

domenica 24 febbraio 2008

Tutto sta cambiando

Sembra incredibile, ma le cose stanno cambiando davvero.

Come vi ho detto, ho cominciato la mia azione nel mondo reale e i primi eventi sembrano confortanti. Quanto meno confermano la straordinaria particolarità di questo preciso momento della vita politica italiana. Non c’è dubbio che siamo in piena crisi del sistema paese, una crisi nera e profonda, un tunnel che sembra non avere sbocchi. Allo stesso tempo, come fa notare Al Gore

L’ideogramma cinese per la parola “crisi” è formato da due caratteri: il primo è il simbolo del pericolo, il secondo quello dell’opportunità.

Al Gore - La terra in bilico

Vi assicuro che in questa crisi italiana, c’è una gigantesca componente di opportunità che va carpita a tutti i costi e che è la chiave per cambiare tanto, se non tutto.

Vi racconto quello che succede nella sezione del PD del mio piccolo comune (poco più di 5000 abitanti). Al momento di formare la nuova segreteria si presentano persone nuove, mai viste, tutta gente che non ne può più, che non si fida più, che non vuole più delegare.

Al momento di formalizzare le cariche della nuova segreteria, la vecchia guardia reagisce duramente e cerca di piazzare le proprie pedine. L’assemblea dice semplicemente “No grazie” producendo un muro compatto, senza la più piccola crepa.

Visto questo, io mi decido e penso: “Ok, posso davvero cominciare da qui”. Mando un’email al nuovo segretario e gli chiedo un appuntamento. La sera dopo ci vediamo e gli dico: “Ciao, io sono l’ideologo della rivoluzione dolce, vorrei fare un laboratorio di politica nuova basata su sostenibilità, meritocrazia e etica, mi volete?”. Lui, invece di mandarmi a quel paese dice “Sì” e mi racconta tutto quello che gli passa per la mente.

In pochi giorni si passa alla prima azione politica con influenza diretta sulla realtà. Dobbiamo costruire la nuova scuola elementare, c’è un progetto misterioso nascosto nei cassetti dell’amministrazione comunale, non ci piace la mancanza di trasparenza, si sospetta che il nuovo edificio non sia progettato secondo criteri di sostenibilità ambientale.

Il PD chiede e ottiene un incontro informale con l’amministrazione per parlare del progetto e vedere i disegni. La cosa si fa subito.

Perché?

Si fa subito perché in questo momento gli amministratori si sentono deboli, sentono il vento del cambiamento. Forse si fa subito perché gli stessi amministratori hanno voglia di condividere le responsabilità e intuiscono lo spirito costruttivo con cui la richiesta viene fatta. Forse si fa subito perché la politica del sotterfugio e dei cassetti chiusi è faticosa, stanca gli amministratori, produce frustrazioni, lascia l’anima insoddisfatta.

Così venerdì scorso si discute dei progetti sulla scuola, alcuni elementi critici saltano all’occhio, ma ora tutto sembra possibile perché il dialogo è aperto e tutte le carte sono scoperte.

Sembra incredibile!

Vi saprò dire come andrà a finire, ma già questo dimostra che le opportunità, ora, qui, si possono creare. Adesso scateniamo gli opportuni circuiti virtuosi e vediamo se funziona.

È un bel momento, se non lo sfruttiamo sarà solo colpa nostra.
Muovetevi!

sabato 23 febbraio 2008

Dei "piccoli poteri"

Sembra incredibile, ma il denaro non è la più temibile arma di corruzione. Forse voi ci eravate già arrivati, ma io ci ho messo un po’ di tempo a capirlo.

Una persona che si comporta in modo scorretto o dannoso o si oppone a scelte palesemente positive o resiste anche al più auspicabile dei cambiamenti non sempre lo fa per proteggere un interesse economico o un vantaggio materiale.

Spesso la vera ragione va ricercata nella conservazione di quello che io chiamo un “piccolo potere”. Ho incontrato questa situazione migliaia di volte, le persone difendono in modo feroce anche briciole di potere minuscole.

Faccio solo un esempio. Ho lavorato con un’azienda dove non si poteva fornire un indirizzo email ai dipendenti (cosa invece indispensabile all’attività di marketing in corso) perché l’impiegato responsabile dei computer non sapeva configurare gli account di posta elettronica, non voleva ammetterlo e aveva paura che gli avrebbero tolto l’incarico affidandolo a un altro.

Lui accendeva i computer la mattina e li spegneva la sera, lui aveva la password di amministratore dei PC (con la quale, per altro, non sarebbe stato in grado di fare nulla). Lui l’aveva e gli altri no. Lui ordinava il toner delle stampanti e parlava con il tecnico che aveva installato, non so quanti anni prima, il decrepito programma di contabilità dell’azienda. Questo ruolo non aveva effetto sulla sua busta paga, ma solo sul suo ego.

Così l’intera impresa era ostaggio di una figura sostanzialmente insignificante, disperatamente aggrappata al suo “piccolo potere” personale. Forse l’unico spazio in cui il suo Io poteva concedersi il lusso di sentirsi Re.

Sto parlando di un’azienda con un fatturato superiore ai 25 milioni di euro, non un colosso, ma nemmeno una botteguccia artigiana.

Se operate in un contesto politico, amministrativo, sociale, se le cose non vanno e vi vengono dei sospetti, prima di elaborare dietrologie di alto profilo, scoprite dove sono annidati i “piccoli poteri”. Sono straordinari centri di stoica resistenza a ogni cambiamento, fenomenali strumenti di corruzione, spesso più efficaci dei soldi.

Ci sono persone dalla dall’esistenza così grigia, che per comprarle basta una caramella. Arrivo a dire che ci sono persone che non riuscireste a comprare con i soldi, ma che potete comprare elargendo un “piccolo potere”.

Contromisure?

A volte basta offrire due caramelle per rimuovere il blocco. Il difficile, nell’azienda di cui vi ho parlato, era capire dove stesse veramente il problema. Era costantemente dissimulato sotto altre forme: non c’è tempo, il tecnico non viene, non arrivano gli aggiornamenti del software, ci sono problemi di sicurezza informatica, ecc.

Una volta intuita la verità, è bastato fornire alla persona in oggetto le rassicurazioni necessarie, fargli capire che lui sarebbe stato opportunamente istruito e non sostituito (quindi il suo potere sarebbe in realtà aumentato). In due ore è diventato il più grande paladino della causa.

Potreste pensare che si tratti di un caso limite.
Non lo è. Cominciate a guardavi attorno.

venerdì 22 febbraio 2008

Le corporation ci salveranno

Sembra incredibile, ma la politica è così indietro che forse saranno le multinazionali a salvare il mondo. È una riflessione paradossale, ma sta succedendo proprio questo. In un certo senso sono felice, perché è meno probabile che finiremo con l'estinzione della specie: alle corporation servono clienti, vivi e in buona salute.

Tempo fa mi è capitato di fare un po' di ricerche sulle energie rinnovabili e ho scoperto che gli studi più avanzati in questo settore non li fanno i governi, le università o le nuove imprese del nascente green business, le fanno le compagnie petrolifere. La Shell, ad esempio, ha programmi avanzatissimi.

Visto che la politica è in ritardo gravissimo, perché intenta a osservarsi l'ombelico e a contare i voti mentre il mondo cambia a velocità vertiginosa, le grandi imprese cominciano a fare autonomamente scelte di sostenibilità. Non che siano necessariamente diventate buone, semplicemente sanno fare i conti e sanno fare programmazione a medio e lungo termine. Sanno quindi che l'attuale modello di sviluppo non regge, bisogna cambiare marcia.

Era un po' che pensavo a tutto questo e l'altro giorno ho ritrovato la stessa tesi in un un articolo dell'Observer: anche i media si sono accorti del fenomeno. È un bel momento, ve lo avevo detto. A tutti i livelli cresce la consapevolezza delle cose.

Ora basta che la politica si svegli e capisca che la sostenibilità è una meravigliosa opportunità per il pianeta (e quindi anche per l'Italia). Non c'è nemmeno più la scusa dei potentati occulti che impediscono il cambiamento.

giovedì 21 febbraio 2008

Passiamo all'azione

Sembra incredibile, ma da questo momento passo dalla teoria alla pratica. Continuerò a raccogliere qui tutte le idee utili alla “rivoluzione”, ma nel contempo comincerò a metterle in pratica nella realtà per provare che funzionano.

Ovviamente non è detto che ci riesca, ma dove posso fallire io potrebbero riuscire altri, quindi riporterò qui le tracce dei progetti e di come metterli in pratica e segnalerò le problematiche e gli errori che si verificano.

QUESTO È IL PIANO
Vorrei creare un laboratorio open source di politica innovativa che sviluppi progetti fondati sulla logica del circuito virtuoso. Spero di poterlo realizzare nel comune in cui abito (ma con finalità e obiettivi non necessariamente locali), se non sarà possibile cercherò un altro contesto.
Il laboratorio funzionerà come incubatore di idee e come hub di risorse provenienti da qualsiasi sorgente.

QUESTE LE REGOLE
Contano i problemi e le idee per risolverli
.
Non contano gli schieramenti o la provenienza delle idee
.
Quello che si progetta, si mette in pratica e si testa sul campo.
Il laboratorio è aperto a tutti, non ha confini politici o ideologici.
La trasparenza è totale.
Idee e risultati vengono resi pubblici con licenza Creative Commons.

Ogni progetto dovrà essere sviluppato secondo criteri di sostenibilità (impatto ambientale e sociale), meritocrazia (per scegliere chi lo dirige, chi lo attua, fornitori, consulenti ecc.) ed etica (trasparenza, legalità, utilità pubblica, ecc.).

QUESTI GLI STRUMENTI
Tecniche del pensiero laterale.
Partecipazione, comunicazione diffusa e crowdsourcing.
Ricerca e scouting.
Dinamiche open source.
Sperimentazione dell'intelligenza collettiva.
Costante valutazione dell’efficacia e dei risultati raggiunti.
Glocal vision.
Sfruttamento delle dinamiche di mercato.

Individuazione, sviluppo e sostegno dei circuiti virtuosi.

Un po’ per volta vi spiegherò tutto e parallelamente vi darò notizia dei progressi (o delle frustrazioni) che ne derivano. Tutti i contributi costruttivi sono ovviamente graditi.

martedì 19 febbraio 2008

Come Raissa

Alessio mi manda questa bella citazione dalle Città Invisibili di Italo Calvino:

Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicchè in ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d'esistere
È così appropriata che per oggi non aggiungo altro.

lunedì 18 febbraio 2008

L'etica e il suo circuito virtuoso

Sembra incredibile, ma l'uomo è il più violento animale del pianeta. Abbiamo visto tutti abbastanza documentari di Piero Angela per sapere che non c'è altra specie così intenta all'uccisione dei propri membri per risolvere i propri problemi territoriali, di approvvigionamento delle risorse e sessuali.

Consapevole della propria brutalità, il genere umano ha cominciato a darsi regole e leggi, a costruire sistemi di valori che rendessero possibile la vita sociale. Si è arrivati così alla carta dei diritti dell'uomo (ci sono voluti circa 200.000 anni) e ancora oggi siamo qui a discutere di pena di morte, di guerra e di tortura e atrocità varie.

Una struttura etica condivisa e rispettata è comunque alla base di ogni sistema sociale. Ci devono essere muri e steccati che non si possono superare perché è chiaro che farlo mette in serio pericolo l'intera comunità.

Il nostro paese non ha più una struttura etica su cui basarsi, è stata fatta a pezzi dall'atteggiamento della classe politica, dall'inadeguatezza del sistema formativo, dall'inconsistenza delle istituzioni, dalla mancanza di credibilità di chi dovrebbe dare il "buon esempio". Il berlusconismo ha dato il colpo di grazia, facendo dell'assenza di eticità un valore da esibire con orgoglio (più precisamente hanno affermato la bontà dell'etica su misura: chi ha il potere fa quel che gli pare e poi sostiene che è giusto).

I danni prodotti sono incalcolabili. Senza una struttura etica la società non funziona, perché nessuno può più fidarsi di nessuno. Le leggi non servono più a nulla se nessuno si sente in dovere di rispettarle.

Ricordo una frase in un post di Daniele Luttazzi a proposito delle proposte di legge di Beppe Grillo: "L'illusione alimentata da Grillo è che una legge possa risolvere la pochezza umana". La trovo assolutamente illuminante.

La prima missione della politica è quella di elevare lo stato umano e promuovere il bene collettivo. Servono esempi limpidi da seguire, bisogna affermare con forza valori come coerenza, sincerità, trasparenza, lealtà. Serve un "codice d'onore" che faccia da fondamenta del nostro essere comunità. Senza questo tutto il resto traballa o, peggio, crolla.

Per contro, una buona struttura etica è uno straordinario attivatore di circuiti virtuosi perché genera fiducia e voglia di fare.

L'etica semplifica, perché dove le regole di base sono ampiamente rispettate e condivise servono meno leggi, si può lasciare più libertà agli individui contando sul senso di responsabilità di ognuno. La semplificazione libera risorse e le risorse permettono di alimentare altri circoli virtuosi (il meccanismo l'avete già capito immagino).

Non sto raccontando del paese dei balocchi. Molti stati europei possono permettersi sistemi legislativi più semplici del nostro semplicemente perché possono fidarsi maggiormente del rispetto delle regole di base della convivenza civile (non importa nemmeno scomodare i civilissimi paesi scandinavi, basta guardare Francia, Germania o Inghilterra).

Non sto nemmeno parlando di cose astratte e idealistiche. Il mercato ha già rilevato da tempo l'importanza di questi fattori. Oggi per valutare il valore di un'azienda si verifica anche il bilancio etico dell'azienda stessa e il cosiddetto "capitale intangibile". Perché le performance di un'impresa dipendono molto dalla motivazione delle persone che la compongono, dalla loro correttezza e affidabilità, dal senso di responsabilità dei singoli. Tutto questo sposta il valore della compagnia sui mercati azionari e produce effetti reali e tangibili sul fatturato.

La ricetta, infondo, è semplice. Abbiamo un'ottima carta costituzionale, basterebbe usare quella e un po' di buon senso. Non c'è niente da inventare.

domenica 17 febbraio 2008

L'occasione del Partito Democratico

Sembra incredibile, ma la nascita del PD potrebbe essere l’inizio di una potente rivoluzione. Il fatto che coincida con questo particolare momento della vita politica del paese (o che ne sia figlio), crea condizioni davvero uniche. La politica è sotto assedio, gli apparati sono destabilizzati, il sistema è instabile, si aprono porte che sono state chiuse a lungo, troppo a lungo.

Così nelle sedi locali del partito, durante il processo di costituzione, si stanno affacciando sulla scena persone assolutamente improbabili. Gente che nel calderone sporco e puzzolente della politica italiana non aveva nessuna intenzione di infilarcisi, ma che si rende conto che ora l’ultima spiaggia, è l’impegno personale.

Persone che pensano che l’unica cosa rimasta da fare sia andare a sporcarsi le mani per rimettere a posto le cose. Sono quelli a cui faccio appello e per i quali scrivo questa specie di manuale del rivoluzionario dolce. Ai quali cerco di fornire qualche efficace arma da utilizzare sul campo.

Il PD rappresenta ora una breccia aperta, un punto debole del sistema che permette di entrare all’interno e cominciare a scatenare la tempesta di circuiti virtuosi che auspico.

Facciamolo.

Nel piccolo comune in cui abito stanno succedendo cose impensabili fino a poche settimane fa. Un gruppo di persone “pulite” ha preso il “controllo” della sezione locale del PD, introducendo regole nuove nella gestione politica (trasparenza di tutti gli atti, reali possibilità di partecipazione, primarie interne per scegliere i candidati da presentare alle elezioni amministrative, ecc.).

Il vecchio apparato, ovviamente, fa resistenza, ma l’onda nuova sembra al momento infinitamente più potente e coesa. La cosa bella però, è che un movimento di base come questo, dà la forza alla parte “buona” dei vecchi apparati di riemergere e contribuire al cambiamento. Insomma, tanto per cambiare, qui comincia un circuito virtuoso.

È un buon momento, è un momento speciale e non dobbiamo sprecarlo perché, entro pochi mesi, gran parte di questa energia potrebbe essersi dissipata. È un buon momento e il PD potrebbe essere una buona piattaforma operativa.

Io sono di sinistra. l mio essere di sinistra si può descrivere parafrasando Giorgio Gaber: sono di sinistra perché riesco a essere vivo e felice solo se lo sono anche gli altri.

In questo momento però non mi interessa la storia dei soggetti politici che hanno formato il PD (perché potremmo parlare per ore delle cose belle e delle porcherie che si portano dietro), mi interessa quello che si può fare da ora in avanti con una forza politica di questo tipo. E dovrebbe interessare anche alle altre persone di buon senso che hanno orientamenti politici diversi dal mio. Il PD è un’occasione di riforma anche per loro, perché il suo muoversi in modo nuovo potrebbe costringere gli altri a seguire (sta già succedendo con la campagna elettorale). Gli esempi positivi potrebbero propagarsi e dare la forza alla parte più sana della società di reagire e agire.

Insomma, cogliamo l’attimo, conviene a tutti.

La resistenza al cambiamento

Sembra incredibile, ma l’evoluzione ci ha ben predisposti ai cambiamenti. Sembra incredibile perché chiunque abbia operato in un contesto sociale (o anche solo famigliare) sa perfettamente che portare le persone a cambiare un’abitudine o a modificare un comportamento è difficilissimo.

Di resistenza al cambiamento muoiono ogni giorno gli intenti più nobili, non importa quanto sensate siano le proposte che si fanno, cambiare le cose appare spesso un impresa titanica.

Se analizziamo la dinamica psicologica dei cambiamenti, scopriamo però qualcosa di molto interessante. Siamo tutti estremamente disponibili a cambiamenti che percepiamo come migliorativi della nostra condizione e privi di rischi. Opponiamo invece una resistenza feroce a quei cambiamenti nei quali percepiamo degli aspetti di peggioramento del nostro status o dei rischi.

Tutto sommato sembra abbastanza logico che sia così, ma questo ci dice che una parte cruciale nella dinamica dei cambiamenti la gioca la percezione, non la reale natura del cambiamento stesso. La risposta alla richiesta di cambiamento dipende quindi dal tipo di cambiamento viene chiesto, ma soprattutto dipende da come viene chiesto.

Sociologia e psicologia hanno studiato a lungo questi fenomeni, il marketing ne tiene conto e la pubblicità usa tecniche di comunicazione che permettono di giocare su questi aspetti fino a indurre cambiamenti a volte assolutamente svantaggiosi per coloro che li agiscono, ma che vengono invece percepiti come “vantaggiosi”.

Se ci pensate, una dinamica come quella della “moda”, non fa altro che portare le persone a compiere una serie continua di cambiamenti totalmente irragionevoli (non ha senso buttare ogni anno i vestiti dell’anno precedente). Nonostante questo chi li mette in pratica lo fa perché ritiene che sia normale, necessario, conveniente, premiante.

Il primo passo per fare accettare una proposta di cambiamento consiste quindi nello studiare attentamente la forma della proposta stessa. L’idea che si trasmette e l’impronta che questa lascia nelle persone fanno la differenza tra un grande successo e un tragico fallimento.

Mentre nel “mercato” questo tipo di approccio al problema del cambiamento è piuttosto normale, in politica e nel mondo del non-profit non lo è.

Leggevo ieri (Internazionale 731 p. 18) della città di Marburgo (in Germania) che sta istituendo un regolamento locale che multa con 5mila euro chi non installa sulla propria casa i pannelli solari termici (il costo medio dell’impianto previsto è appunto di circa 5mila euro). Ecco, questo non è il modo per far percepire come favorevole e vantaggioso un cambiamento che in realtà potrebbe esserlo. È un buon sistema per trasformare una platea neutra, o magari moderatamente favorevole al cambiamento, in un fiero gruppo di resistenti militanti.

Risulta invece molto più efficace costruire un quadro vantaggioso, anche con interventi “artificiali” come incentivi economici e fiscali (ma anche emozionali), accompagnati da un corretto approccio di comunicazione.

Se vogliamo una prova di questo (sempre restando in tema ambientale) basta guardare l'impennata che ha avuto l'installazione dei sistemi fotovoltaici negli ultimi due anni in Italia. Questi sistemi sono molto costosi e largamente meno efficienti di quelli termici (che costano inoltre molto meno), eppure, vista l'incentivazione (e nonostante la sua complessità) il mercato sta crescendo a ritmi forsennati (di fatto la richiesta supera già largamente la capacità di offerta delle aziende del settore).

In questo contribuiscono componenti razionali e irrazionali (emotive). Infatti anche gli impianti solari termici sono incentivati, ma con un meccanismo differente (ma non meno conveniente). Eppure è il fotovoltaico ad aver preso il volo.

Più avanti ci tornerò sopra analizzando altre situazioni pratiche.

sabato 16 febbraio 2008

La meritocrazia e i suoi circuiti virtuosi

Sembra incredibile, ma nessuno ama istintivamente la meritocrazia. Tutti a parole la difendono, ma nessuno la vuole davvero, perché ognuno di noi teme la competizione, odia il cambiamento e ama aggrapparsi alle poche certezze di cui dispone nella vita.

Se poi si abita nel paese del tutto finto, delle lobby sporche, dei baronati, del falso mercato, delle raccomandazioni, del voto di scambio ecc. ecc. la meritocrazia diventa davvero un termine senza senso.

Con un piccolo sforzo, però, è facile arrivare a capire che la meritocrazia conviene a tutti, soprattutto nel medio e nel lungo termine. Oltre al fatto che è piacevole sapere che il chirurgo che ti opererà sa quello che sta facendo e non è stato piazzato il sala operatoria dagli amici degli amici, il sistema meritocratico è un grande attivatore di circuiti virtuosi.

Se un amministratore pubblico è capace, amministra saggiamente e produce servizi utili a un costo sostenibile dalla comunità. I servizi utili producono benessere e migliorano la qualità della nostra vita, del nostro lavoro. Lo stesso vale nel caso di un imprenditore, di un insegnante, di uno scienziato. Se sono competenti e abili produrranno risultati utili a tutti: più impresa, più posti di lavoro, più qualità, più ricerca, più benessere, generando vantaggi per tutte le persone coinvolte nel processo. Il tutto si trasforma in crescita economica, culturale e in un aumento della qualità delle vita.

L’azione politica, quindi, deve perseguire la creazione di sistemi meritocratici, in tutti i campi, ad ogni costo.

Stare nel sistema attuale non è così “comodo” come sembra. I costi che si pagano sono molto alti anche se a volte sono ben occultati. Per ottenere una raccomandazione o la benevolenza di questa o quella lobby serve impegno. Bisogna dare una contropartita: a volte un voto, a volte altri tipi di “favori” più o meno espliciti. Ne torna poi qualche vantaggio evidente e una serie infinita di svantaggi collaterali.

A ben guardare, i veri grandi vantaggi del sistema clientelare vengono goduti da chi sta in cima al sistema stesso, poche persone che traggono enormi benefici coinvolgono milioni di persone ai quali distribuiscono con una mano visibile e levano con una invisibile. Distribuiscono posti di lavori e qualche privilegio mentre sottraggono risorse, tutele, qualità dell’aria che si respira, della sanità, dell’informazione ecc.

Basta pensarci un po’ ed è facile rendersi conto che il gioco, alla lunga, non vale la candela.

Se le stesse energie che si spendono per ottenere i “favori” fossero spese per migliorare sé stessi, sarebbe facile trarre giovamento da un sistema di tipo meritocratico. In più, le ricadute positive del sistema sarebbero godute da tutti.

Domani volevo parlarvi del terzo grande circuito virtuoso, quello dell’Etica. Una lettrice però ha evidenziato un aspetto di vitale importanza e cioè il tema della resistenza al cambiamento che si incontra in ogni processo di innovazione. Quindi domani anticiperò un post che avevo previsto di pubblicare più avanti e parlerò proprio di questo.

L’Etica la facciamo lunedì.

venerdì 15 febbraio 2008

Il circuito virtuoso: un arma di ricostruzione di massa

Sembra incredibile? Lo so. State pensando che parlo per massimi sistemi, rigiro aria fritta, utopie, sbrodolo cose che poi non si possono mettere in pratica, ecc.

Però i circuiti virtuosi io li creo per lavoro, praticamente tutti i giorni, quindi un po’ me ne intendo. Funzionano e fanno aumentare i fatturati delle aziende, effetti reali che si toccano con mano. Se possiamo usarli per le strategie di marketing di un’impresa, perché non dovremmo usarli per migliorare il mondo?

Sono armi potenti, direi le armi ideali per una rivoluzione che oggi, in Italia, può partire solo dal basso (non vi aspettate che la Casta epuri sé stessa per farvi un favore, vero?).

I circuiti virtuosi si possono innescare anche impiegando piccole energie. Certo, un circuito grande come quello descritto nel post precedente richiede sforzi importanti, ma ci si può arrivare per gradi, attivando tanti circuiti virtuosi più piccoli e facili da fare partire che tutti insieme poi innescheranno quello più grande.

Vi faccio un esempio pratico?

Con il programma Conto Energia attuato dallo stato italiano è possibile installare pannelli fotovoltaici (quelli che trasformano l’energia solare direttamente in energia elettrica) quasi a costo zero*.

Sicuramente lo scorso anno lo sapevano in pochissimi (ma la cosa era già fattibile), ora la voce sta circolando e indovinate chi la fa circolare? Il mercato, perché l’incentivo Conto Energia è un attivatore di sviluppo e circoli virtuosi e il mercato, le aziende che installano pannelli solari se ne sono accorte prima dei politici e degli amministratori (tenete presente questa cosa perché il mercato è una delle armi più micidiali di cui possiamo servirci per cambiare le cose, ne riparlerò in modo più approfondito):

Oggi, un’amministrazione pubblica di buon senso dovrebbe, istantaneamente e con grande determinazione, utilizzare l’incentivo per installare il maggior numero di impianti fotovoltaici possibile negli edifici pubblici, fornendo il massimo sostegno ai privati per fare la stessa cosa nelle proprie abitazioni.

Questo è un caso in cui soldi pubblici vengono spesi bene per attivare un meccanismo virtuoso che produce posti di lavoro, reddito, ricchezza e contemporaneamente riduzione dei consumi energetici, sviluppo di know-how e competenze, abbattimento dell’inquinamento e delle emissioni in atmosfera di CO2, affrancamento dalla dipendenza energetica del paese, risparmio per le famiglie (quindi aumento del reddito disponibile).

Se ci pensate bene, poi, ognuno di questi effetti positivi genera a cascata altri effetti positivi. Ve l’ho detto, i circuiti virtuosi sono armi potenti, vere armi di ricostruzione di massa.

Tornando all’ambiente, questa legge l’hanno fatta un po’ per sbaglio, non si rendevano mica conto che fosse così bella. Infatti poi non l’hanno detto a nessuno che avevano fatto un colpo di questo tipo. Quando ad Anno Zero, Jacopo Fo (un comico, tanto per cambiare) l’ha spiegata a Francesco Rutelli lui non l’ha nemmeno capita. Nella sua recente apparizione a Porta a Porta Veltroni ha dimostrato un'ignoranza in materia ai confini del ridicolo e nessuno dei giornalisti presenti è stato in grado di rettificare quanto veniva detto (perché nel paese del nulla è ciò che sembra i giornalisti mica fanno i giornalisti).

Comunque questo è solo un esempio e non abbiamo nemmeno cominciato a scalfire la crosta del grande circolo virtuoso dello Sviluppo Sostenibile.

Però ho bisogno di farvi vedere prima la cornice, poi ci addentreremo nei dettagli del quadro, quindi domani vi parlerò del secondo grande circolo virtuoso: la meritocrazia.


* il meccanismo non è semplicissimo ma funziona (poi una volta lo spiego a beneficio di chi non lo conosce già).

giovedì 14 febbraio 2008

Lo sviluppo sostenibile e il suo circuito virtuoso

Sembra incredibile, ma la prima idea è tanto semplice che quasi me ne vergogno, la capisce anche mio figlio che ha 4 anni.

Lo sviluppo sostenibile è la prima priorità assoluta. Senza un pianeta, o un paese abitabile in cui vivere a che serve ogni altra cosa?

Ogni scelta politica va quindi prima di tutto valutata sotto il profilo della sostenibilità ambientale, sempre e comunque.

E qui viene il bello.

Questo, che sembra un limite alle possibilità di fare, un freno alla crescita, un ostacolo al progresso, rappresenta in realtà uno straordinario motore per sostituire circuiti viziosi con fantastici circuiti virtuosi e una favolosa opportunità di crescita.

Vi faccio solo alcuni esempi perché le conseguenze positive di una scelta radicale come questa sono così tante che mi fan venire il mal di testa.

Il paese ha fame di energia, una seria politica della sostenibilità ci porta per prima cosa a ridurre i consumi usando nuove e vecchie tecnologie. Significa far nascere migliaia di nuove aziende impegnate nel coibentare il paese, tagliare gli sprechi inutili e immorali di energia, sfruttare le energie rinnovabili ovunque sia possibile e economicamente ragionevole.

Questo fa si che l’Italia diventi meno sensibile ai grandi potentati energetici mondiali, diventando contemporaneamente più libera e competitiva, con ulteriore vantaggio per le imprese e l’economia interna, e così via.

Poi cala l’inquinamento e migliora la salute pubblica, la sanità costa meno e la gente sta meglio, si liberano perciò risorse economiche e si può migliorare ulteriormente la sanità e curare meglio più persone di prima, e così via.

Nel fare tutto questo si accumula esperienza nel settore del risparmio e dell’efficienza energetica, si sviluppano tecnologie e prodotti di cui tutto il resto del mondo sarà presto affamato. Ci si ritrova con qualcosa di prezioso da vendere all’estero e si migliora il posizionamento internazionale del paese.

Più si sviluppano tecnologie sostenibili, più è facile consentire la crescita delle aree del mondo in condizione di sottosviluppo, si aumenta il benessere generale, si diminuiscono l’emigrazione, le tensioni tra i popoli, le guerre per le risorse....

Mi fermo qui, ma si potrebbe proseguire a lungo... ne riparleremo.

mercoledì 13 febbraio 2008

Ci vorrebbe un leader

Se arrivasse ora un bel tipo carismatico con 5 (non dico 10) idee chiare in testa e una proposta per il futuro, probabilmente una folla oceanica lo seguirebbe. La cosa ha anche aspetti pericolosi perché è così che nascono certe dittature, ma cerchiamo di pensare positivo e scartiamo questo scenario.

Il leader giusto potrebbe dare il via a una grande stagione di crescita e trasformazione del paese, costringendo il marciume che attanaglia ogni cosa a regredire fino ad un ammontare fisiologicamente sopportabile.

Il leader di questa rivoluzione non ce l’ho, peccato.
Le idee sì.

martedì 12 febbraio 2008

Però è un bel momento

Sembra incredibile, ma nonostante il post che ho scritto ieri è un buon momento. Perché siamo alla caduta delle prime tegole, qualche trave magari, e tutti stan guardando in su chiedendosi cosa fare. Perché le tegole non ti ammazzano - come quando viene giù tutto il tetto - ma fan male e fan male a tutti, furbi e meno furbi. E le tegole in testa, secondo me, predispongono al cambiamento.

Siamo in un’epoca bellissima, l’evoluzione tecnologica ci mette finalmente a disposizione tutto quello che serve per vivere sani, felici e in armonia con l’ambiente e con gli altri uomini.

Non c’è mai stato un momento come questo nella storia dell’uomo. Ci sono prospettive fantastiche, basta rendersene conto, rimboccarsi le maniche e fare un semplice elenco di priorità: tutto cambierà di conseguenza, quasi come per magia.

Credo che ora basti una spinta per scatenare una formidabile tempesta di circuiti virtuosi e spalancare le porte di un nuovo rinascimento. Leggo i segni di una voglia di rivoluzione che monta, ma non sa esprimersi in modo compiuto. Si accalca al V-day di Grillo, affolla i blog della controinformazioni, parlotta nei mercati rionali e nei corridoi degli uffici. Il disagio è soffocante al punto giusto.

Ora basta solo dare una spinta.

lunedì 11 febbraio 2008

Nulla è ciò che sembra

Sembra incredibile, ma ormai quasi nulla in Italia è ciò che sembra. Siamo una repubblica bastata sul “far finta”. Un posto dove i politici fanno finta di occuparsi del bene comune, mentre gli imprenditori fanno finta di fare impresa, gli studenti fanno finta di studiare, gli insegnanti di insegnare, i medici di capirci qualcosa nel corpo umano, i benestanti di essere benestanti, i geometri fingono di essere architetti, ecc.

Non sentitevi estranei a questa meccanica, perché tutti, in un modo o nell’altro ne facciamo ormai parte. Non si salva quasi più nessuno.

Il processo è andato potenziandosi anno dopo anno, via via che i vari ostacoli alla sua crescita malata venivano rimossi. I fattori che hanno contribuito sono tanti, ma quello che mi interessa mettere a fuoco è il crollo del senso dell’etica personale e collettiva insito in questo meccanismo.

Quando in una società viene smantellato il pavimento etico sul quale tutti i piedi dovrebbero poggiare, si apre la strada verso il fondo del pantano e si sprofonda tutti insieme, fino a che un giorno - come sta accadendo ora - ci si guarda intorno e ci si chiede un po’ sgomenti: “Aiuto, ma che succede?”.

In una società sostanzialmente sana, fare finta, approfittare delle scorciatoie, ottenere qualcosa non attraverso il merito, ma per altre vie (legali o illegali che siano), può essere conveniente. Anche molto conveniente, in effetti.

Ma se non ti puoi fidare del tuo medico, perché chissà poi se è medico, perché se è medico chissà come lo è diventato, perché se ti ha prescritto una certa cura chissà se lo ha fatto per il tuo bene o perché poi lo mandano con la moglie in crociera ai caraibi, vuol dire che cominci a essere nei guai.

Se poi la stessa cosa vale per l’idraulico, il giudice, la maestra di tuo figlio, l’architetto che ha progettato il ponte su cui passerai tutte le mattine, il politico che hai votato e per quasi qualsiasi altra cosa che fa parte della tua vita, beh, allora, il problema comincia a diventare drammatico.

La cultura del “fare finta” può pagare bene quando si è immersi in un mondo onesto, tanto ci sono gli altri a tenere su la baracca. Il problema sorge quando tutti, in un modo o nell’altro, per amore o per forza, cominciano a non essere ciò che sembrano, a non fare ciò che dovrebbero fare, a non conoscere ciò che dovrebbero conoscere, perché allora la baracca non la tiene più su nessuno e casca sulla testa di tutti, furbi e meno furbi, onesti e disonesti.

Ecco, noi siamo qui. La baracca ci sta cadendo in testa.

domenica 10 febbraio 2008

Io sono un pubblicitario

Sembra incredibile, ma se vuoi davvero capire questo Paese non c’è professione migliore della mia: io faccio le pubblicità. Per intenderci, sono uno di quelli che inventano gli slogan, le pagine che vedete nelle riviste, i nomi dei nuovi prodotti, le decorazioni delle confezioni che trovate al supermercato, gli spot radiofonici e televisivi, ecc.

Un pubblicitario vive in una posizione privilegiata perché è come uno spettatore che a teatro può vedere contemporaneamente lo spettacolo che va in scena e ciò che accade dietro le quinte. Accede infatti a dati che la maggior parte delle persone non può conoscere, come statistiche, analisi di mercato e sociologiche. Gli vengono confidati intimi segreti di realtà aziendali e istituzionali per cui lavora, trucchi, strategie, obiettivi, progetti.

Così negli ultimi 10 anni mi è capitato di scoprire tantissime cose sull'Italia e su come funziona veramente e ora ho deciso di mettere queste scoperte e le mie riflessioni in merito a disposizione di chiunque le voglia ascoltare. Vi parlerò di politica, di mercato, di ideali, di tutto quello che non va, ma soprattutto di ciò che si può fare per cambiare le cose cominciando da subito.

Perché ora? Perché ora è un buon momento.

sabato 9 febbraio 2008

È un buon momento

Sembra incredibile, ma è un buon momento. Il governo è appena caduto, l’economia arranca, disponiamo di una classe politica inetta e corrotta, non ci sono ideali di prima o di seconda mano per cui battersi, persino la chiesa sta facendo un gran lavoro per massacrare quel che resta di una religione piena di principi rispettabili come il cristianesimo.

Sembra incredibile, ma nonostante tutto questo è un buon momento. La gente infatti comincia a essere davvero stanca, e credo che tutti capiscono che niente di quello che c’è in giro è adatto a portare a un vero cambiamento. L’Italia si sta finalmente piantando sul fondo melmoso della palude che ha costruito negli ultimi 10/15 anni.

Dico che è un buon momento perché se c’è una cosa che gli Italiani sanno fare meglio di ogni altro popolo del mondo è il tirarsi fuori dalle situazioni assurde in cui si sono ficcati.

Sono convinto che ora, adesso, basti una spintarella nella direzione giusta per fare succedere cose meravigliose, sono in tanti a essere pronti alla “rivoluzione”, forse basta fornire le armi giuste.